17 giugno 1269, muore Provenzano Salvani, eroe di Siena ghibellina
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A Siena i dittatori non hanno mai riscosso successo. Non ci addentreremo in un excursus nella Storia cittadina per scoprire quello che tutti sanno, e cioè che Siena è sempre stata una città dallo spirito libero, poco avvezza a stare soggiogata, anche nei periodi più bui della sua Storia secolare.
Non fa eccezione la personalità del condottiero, capitan d’arme e uomo politico Provenzano Salvani, di cui oggi, 17 giugno, ricorre l’anniversario della morte, avvenuta nel 1269 durante la battaglia di Colle Val d’Elsa o, come la chiamiamo noi a Siena, semplicemente la battaglia di Colle.
Strana “battaglia”, quella di Colle. Finì malissimo per i ghibellini senesi: in un agguato, le sparute milizie di Carlo d’Angiò (fratello del Re di Francia Luigi IX, detto il Santo), venuto in soccorso del giglio guelfo (parafrasi per non voler citare la nemica di sempre), alleato storico del Papa, colsero di sorpresa l’accampamento dei ghibellini senesi, situato a Badia a Spugnole, poco fuori Colle. Eppure le forze in campo erano di gran lunga sbilanciate a favore dei ghibellini senesi. Ma ci furono errori tattici ed anche presunzioni di aver tutto sotto controllo, quando non era così.
L’accampamento dei 9400 armati ghibellini di Siena (8000 fanti e 1400 cavalieri, tra cui gli ormai consueti mercenari tedeschi, mandati dagli Svevi) era a Badia a Spugnole, appunto, ma il servizio di guardia fu lacunoso e nessuno si aspettava un attacco da parte delle milizie guelfe capitanate dal vicario Angioino Guido di Montfort. Fu un grave errore di valutazione. Montfort aveva a disposizione solo 1100 uomini, 800 cavalieri e 300 fanti. Per questo Provenzano Salvani e il Podestà Guido Novello, che lo coadiuvava, non pensarono mai ad un attacco, che invece arrivò a sorpresa.
Una battaglia in cui si mise di mezzo anche la zia di Provenzano Salvani, Sapìa, che da allora è passata alla Storia, senese e non, con una fama poco raccomandabile.
Ce lo racconta Dante Alighieri, che la cita alla fine del XIII° canto del Purgatorio. Dante mette Sapìa nel girone degli invidiosi, perché Sapìa godette della sconfitta del nipote Provenzano e dei suoi concittadini senesi.
Savia non fui, avvegna che Sapìa
fossi chiamata, e fui de li altrui danni
più lieta assai che di ventura mia.
[…]
Eran li cittadin miei presso a Colle
in campo giunti co’ loro avversari,
e io pregava Iddio di quel ch’e’ volle.
Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari
passi di fuga; e veggendo la caccia,
letizia presi a tutte altre dispari,
tanto ch’io volsi in sù l’ardita faccia,
gridando a Dio: “Omai più non ti temo!”,
come fé ‘l merlo per poca bonaccia.
A Siena, Sapìa, è simbolo di donna traditrice. In pratica, ci dice Dante, stava pregando Iddio che accadesse poi quello che accadde (“di quel ch’e’ volle”, di quello che egli, Iddio, volle). Se qualcuno dice: «Sei proprio una Sapìa!», non è un complimento, insomma. E nessuna donna a Siena porta quel nome. Diciamo, un Giuda al femminile.
Anni davvero particolari, quelli tra il 1260, l’anno del trionfo di Montaperti, e il 1287, quando entrò in carica il Governo dei Nove, dopo l’avvicendamento del Governo dei Ventiquattro e poi dei Trentasei. Nel frattempo c’erano state due scomuniche papali, fuoriusciti alternatamente dell’una o dell’altra fazione guelfa e ghibellina, e il giglio guelfo della nemica di sempre, alleata del Papa, aveva cambiato due o tre volte la posizione assunta, prendendo impegni poi non rispettati, come del resto hanno sempre fatto per secoli – e queste non sono opinioni, ma è Storia. Farinata degli Uberti, sì, proprio lui, l’uomo della “rigirata” di Montaperti, ghibellino, sì, ma proveniente dalla città nemica di sempre, che si scontrò con Provenzano Salvani al Congresso di Empoli (a noi però piace di più la dicitura “Dieta di Empoli”) all’indomani della battaglia del 4 settembre 1260.
La Dieta di Empoli è un capitolo di Storia affascinante! I ghibellini di Toscana si riuniscono dopo la battaglia di Montaperti per discutere ufficialmente i destini dei guelfi, ma in realtà il tema al centro dell’attenzione è se distruggere o meno la nemica di sempre. Le due fazioni che si contendono i destini della nemica di sempre sono guidate da Farinata, fautore della linea “morbida” e da Provenzano, fautore della linea “dura”, il che significa radere al suolo la città. Prevarrà la linea “morbida” di Farinata, convinto dalle suppliche dei delegati guelfi.
È importante però spiegare questo aspetto, perché Dante Alighieri, quando nell’XI° canto del Purgatorio (122-123) fa parlare Oderisi da Gubbio, cita Provenzan Salvani e dice le famose parole (affisse in una targa dantesca in Via del Moro, ove si ergeva il palazzo della famiglia Salvani, nell’odierno territorio della Contrada Imperiale della Giraffa):
«quelli è Provenzan Salvani,
ed è qui perché fu presuntuoso
a recar Siena nelle sue mani.
Ito è così e va, sanza riposo,
poi che morì; cotal moneta rende
a sodisfar chi è di là troppo oso».
Insomma Dante Alighieri mette Salvani tra i superbi, commettendo un grave errore di valutazione storica, perché in realtà Dante afferma che Provenzano aveva sfruttato la sua gloria dopo Montaperti per farsi tiranno della città, che è un assoluto falso storico! Provenzano non si era preso Siena con le sue mani, ma era stato nominato comandante in arme dal Governo dei Ventiquattro! Ma si può pensare che un uomo simile abbia potuto soggiogare tutta Siena? E allora perché il Podestà, citato in precedenza, Guido Novello gli stette al fianco nella battaglia di Colle?
La Storia, quella vera, ci dice che non esistono documenti ufficiali che affermano che Salvani ebbe una prerogativa superiore a quella degli altri Ventiquattro. Il Governo funzionò sempre liberamente e senza costrizioni. Figuriamoci se i senesi, da sempre gelosi della loro indipendenza politica e territoriale avrebbero sopportato un tiranno in casa, se nel 1552 sfidarono nientemeno che l’Imperatore Carlo V, unico popolo italiano e forse al mondo che ebbe il coraggio di farlo! Ricordiamo a margine che Carlo V fu l’Imperatore dell’Impero dove non tramontava mai il sole! Ma che stiamo scherzando?
No, caro Dante. Mi dispiace. Hai toppato. Forse hai subìto troppo le influenze del tuo contemporaneo cronista Giovanni Villani, acceso difensore agiografico della gloria di un solo disegno politico che sappiamo benissimo quale fosse: quello di difendere il giglio guelfo, sempre e comunque. Con “svarioni” e “endorsement” da giornalista “embedded”, diremmo oggi, un cronista due- e trecentesco che, ormai, bisogna prendere per quello che è, con gli occhi che abbiamo oggi e con le ricerche che, ovviamente, sono andate avanti e non hanno guardato solo a chi vinse. Cioè i guelfi. Cioè Sapìa.
Il Villani. Quello che scrisse:
«tutta la parte ghibellina di Toscana facea capo di lui [Provenzano Salvani], e era molto presuntuoso di sua volontà»
Se Salvani fosse stato così potente, come afferma Villani, sarebbe interessante sapere come mai ad Empoli il suo progetto di distruzione del “giglio guelfo” fallì e fu bocciato.
In realtà Salvani fu ghibellino tra i ghibellini, visse una vita dettata dall’unico desiderio di far trionfare il ghibellinismo nella sua forma più limpida e cristallina. Certo, Provenzano Salvani si trovò forse “dalla parte sbagliata” della Storia, ma difese strenuamente la sua causa e quella di Siena, che era anche stata protetta dall’Impero e aveva usufruito di tanti vantaggi, per questa sua fedeltà imperiale.
E poco gli importò se ad Empoli passò da sanguinario. Ma è per questo che il Villani ce l’ha con lui, lo bistratta come un tiranno, ma perfino Dante, ammette che per trarre fuori dalla prigionia un caro amico fatto prigioniero dopo la battaglia di Tagliacozzo (1268), Provenzano si umiliò a chiedere l’elemosina in Piazza del Campo per raccogliere i soldi necessari al riscatto in denaro chiesto da Carlo d’Angiò. Ed è la seconda e ultima targa affissa con i versi di Dante a Siena, in Piazza del Campo, all’angolo del Casato.
Ma era questo il superbo Salvani?
Riprendiamo le parole di Luca Fusai, tratte dal libro citato in fondo a questo post, quando dice:
«Provenzan Salvani è stato ingiustamente visto come la figura del perfetto superbo, maligno e senza scrupoli. È necessario che si riporti la sua memoria nella giusta dimensione di un uomo che per la grandezza della sua patria e con coraggio portò avanti una vita degna di esser vissuta, sapendo alla fine morire da valoroso, come da valoroso era sempre vissuto».
No, caro Dante. Leggere il Villani ti ha fatto male. Hai toppato di brutto, stavolta.
Fabrizio Gabrielli
Bibliografia essenziale
Giugurta Tommasi, Historie di Siena, 1973, Arnaldo Forni Editore
Luca Fusai, La Storia di Siena dalle origini al 1559, Il Leccio
Il Tesoro di Siena, blog di Mauro Manganelli www.iltesorodisiena.com
Giuliano Catoni, Gabriella Piccinini, Storia illustrata di Siena, 2007, Pacini Editore
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